La chiesa di Lupia dedicata a santo Stefano protomartire è incastonata nel caratteristico borgo rurale. Si tratta di uno dei monumenti religiosi più prestigiosi della diocesi di Vicenza, un documento del gotico fiorito sopravvissuto alle distruzioni e ai rifacimenti dell’Ottocento neoclassico e neopalladiano, segno evidente che la parrocchia non era molto ricca per permettersi una “veste moderna” e la popolazione, pur accresciuta, non esigeva la ricostruzione totale della chiesa. Solamente nel secondo dopoguerra è stato abbattuto l’antico abside per la costruzione del transetto. Dell’antico edificio rimane quindi la navata centrale che un tempo accoglieva il trittico in pietra ora collocato nella parte finale della croce latina, nel presbiterio moderno. La struttura urbanistica di Lupia va ricercata nell’attività dei monaci benedettini di San Felice di Vicenza – proprietari di un’ampia area tra Lupia, Bressanvido ed Ancignano – che edificarono una prima chiesa orientata, secondo l’antica consuetudine cristiana, verso levante. Con l’arrivo dei nobili Dal Toso Lupia visse un momento di felice rinnovamento e la chiesa parrocchiale di Santo Stefano venne ricostruita interamente sulla base della preesistente struttura nell’arco di tempo che va dal 1471 al 1478. Il campanile svettava, come oggi, nell’angolo nord est e il sagrato che delimitava il cimitero era protetto da un muricciolo aperto sul davanti e lateralmente. Ancora oggi stupisce l’orientamento della chiesa che si stacca dall’ortogonalità del borgo per orientarsi verso il sorgere del sole.

Come si presenta all’esterno la chiesa dopo il restauro del 2014 e la pulitura delle superfici?

Il prospetto principale si sviluppa in un’armonica distribuzione degli elementi che denota, nello stile tardogotico lagunare, uno studio delle proporzioni di matrice rinascimentale. Infatti la scansione calcolata delle quattro paraste nasce dal bisogno di avere una chiarezza compositiva: le paraste si concludono in una fascia di archetti pensili ma ritrovano la prosecuzione e lo slancio nei cinque pinnacoli lapidei sovrastanti, con pigna fogliata e croce metallica restaurati nell’Ottocento, che innalzano e slanciano l’intera facciata. Ad alleggerire ulteriormente l’insieme concorrono tre fori circolari e il rosone centrale incorniciati da una ghiera in rilievo lavorata a punta di diamante, mentre la facciata è contornata da un motivo a foglia stilizzata, realizzato in rilievo su pietra tenera. Il rosone presenta una vetrata che allude al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci con la scritta IXTUS, ossia cinque lettere che nascondono la frase “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Le lesene e le arcatelle vengono riprese lungo i fianchi mentre sotto il breve trasporto del tetto corre una cornice in cotto a denti di sega riscontrabile anche negli annessi rustici dell’attuale Villa Dal Toso Rigoni. Oltre ai simboli religiosi si trovano i numerosi riferimenti laici della famiglia Dal Toso: per esempio nella facciata fra i tre oculi e all’interno della chiesa in corrispondenza della base del trittico lapideo. La chiesa è circondata sui lati sud, ovest e nord da un sagrato pavimentato in lastre di porfido, intervento risalente al 2010 che ha eliminato l’originario calpestio in ciottolato protetto da muretto. Tra il porfido sono state inserite lastre in pietra bianca, motivo decorativo che prolunga visivamente in orizzontale le linee delle paraste che scandiscono, in verticale, la facciata della chiesa. Nell’angolo sud del sagrato si trova il monumento ai Caduti delle due guerre mondiali.

L’interno

All’interno la chiesa conserva pregevoli opere d’arte. Nella navata centrale si trova la nicchia con la statua lignea della Madonna del Carmine del XVII secolo, elegantissima, sinuosa nell’insolita postura del corpo con una torsione del busto che ricorda una nobile dama. Sulla controfacciata è appesa la tela di Cristo morto sorretto da angeli di ambito seicentesco come dimostra l’ardito scorcio che nella chiarezza cromatica annuncia già il Tiepolo. Nel transetto vi sono i due altari in pietra tenera intitolati al Sacro Cuore di Gesù, a sinistra, e alla Beata Vergine del Rosario a destra, collocati nel 1953 a conclusione dei lavori di ampliamento della chiesa.

La presenza più insigne del presbiterio è senza dubbio il grande polittico di pietra della fine del XV secolo, opera di Tommaso da Lugano e Bernardino da Como, raffigurante la Madonna in trono con il Bambino tra i Santi Stefano e Sebastiano e Dio Padre tra gli Angeli, alto tre metri e mezzo per due metri e venti, tripartito da lesene decorate. Ai lati del presbiterio sono collocate due tele settecentesche attribuibili alla mano di Costantino Pasqualotto detto il Costantini (Vicenza 1681-1755) e bottega: a destra l’Annunciazione e a sinistra l’Adorazione dei pastori.

Francesca Rizzo